Testo pubblicato in "Semiotica. Journal of
the International Association for Semiotic Studies" (Mouton de Gruyter,
Berlin, 2000) e in "Views in Literary Semiotics" (Legas, New York
- Ottawa - Toronto, 2003) accompagnato da 10 riproduzioni in bianco e nero dal
titolo "Light".
La pittura fa ricorso alla varietà delle colorazioni che
a sua volta è ottenuta a partire da elementi cromogeni fondamentali.
Tramite analisi fotometriche, colorimetriche e mediante la fluorescenza
dei raggi X, è possibile identificare precisamente la luminosità
e i contrasti di un dipinto, come pure la gamma cromatica e la composizione
chimica dei materiali impiegati.
Se si esamina radiograficamente un dipinto si può risalire
dalla gamma cromatica stabilita approssimativamente per esame ottico agli elementi
cromogeni fondamentali.
Un lavoro del genere è stato compiuto da Maltese (et alii,
1991) su alcuni dipinti del Caravaggio, nell'opera del quale notoriamente la
luce gioca un ruolo fondamentale. Per esempio, esaminando per raggi X il dipinto
del Caravaggio Ragazzo con canestro di frutta (v. ivi: 3-8), risulta
che all'ampia varietà delle colorazioni corrisponde un'estrema scarsezza
del numero degli elementi cromogeni fondamentali, specificamente dei pigmenti
minerali, di cui solo tre (piombo, ferro e stagno) rivelati dall'XFR.
Le abbondanti e varie sfumature sono dovute a terre (di Siena,
ocra bruciata, ecc.), ma anche a sostanze organiche (lacche e neri organici).
Si dipinge la luce e si dipinge con la luce.
In un dipinto è evidentemente l'illuminazione e la provenienza
della luce a delineare un oggetto, un volto, a materializzarlo, a determinarne
il contorno, a dare il senso della sua opacità, trasparenza, ruvidezza,
levigatezza, a variegare un colore, a dargli tonalità diverse, ad accenderlo
o spegnerlo.
Anche un disegno in bianco-nero è basato essenzialmente
su un gioco di luci, di chiari e scuri.
Dipingere la luce direttamente, anzi disegnarla senza colore
col solo tratto di penna, e senza l'oggetto illuminato, questo l'intento delle
tavole che accompagnano questo saggio, il cui numero (10) corrisponde a quello
dei nove Cieli più l'Empireo.
Disegnare la luce
Un compito che sembra rievocare la pittura "elementale"
del romanticismo inglese e tedesco della fine del XVIII e la prima metà
del XIX secolo, che si proponeva la raffigurazione degli elementi della natura,
nella loro singolarità e purezza: "la représentation d'un
pur élément, on serait tenté de dire un pur vide ou une
pure absence", "pure transparence" (Gandelmann, 1988: 35).
Si pensi ad Abend (1824) di Caspar David Friedrich, la
cui moglie pare dicesse agli amici venuti a trovarlo: "Nei giorni in cui
dipinge l'aria non è assolutamente possibile parlargli!".
È difficile dire se la pittura elementale rientri pioneristicamente
nella pittura non figurativa. In realtà essa si proponeva una raffigurazione,
quella degli elementi puri, senza gli oggetti.
Questa assenza dell'oggetto potrebbe farla indicare come non
figurativa e farla accostare all'"intention mallarméenne" di
mettere il vuoto al posto delle cose e nelle cose fatte apposta per essere
guardate, i quadri.
Lo stesso Kandinskij chiamava le sue prime opere non figurative
"pitture senza oggetti" (Gegenständlose Malerei).
Piuttosto che abolire la rappresentazione, nei disegni della
luce qui riprodotti si tratta di rappresentare, meglio, di raffigurare l'irrappresentabile,
come nella pittura elementale, ma a differenza di questa servendosi del tratto
di penna, di ciò dunque che necessariamente traccia, delinea, delimita,
racchiude. E non si tratta degli elementi, ma di ciò che nella narrazione
biblica li precede e viene creata prima di tutto, come l'assolutamente originario,
la luce.
Icone della luce
Esiste una iconografia della luce, in cui icona e simbolo, nel
senso di Peirce, somiglianza e convenzione (la sua rappresentazione tramite
raggi, per esempio: si pensi, anche sul piano della scultura, al Bernini e alla
rappresentazione plastica, in questa maniera, della luce) si sostengono reciprocamente.
La rappresentazione figurativa della luce può avvalersi
delle icone verbali, delle immagini presenti nel parlare della luce, che, più
che metafore, sono espressioni che "letteralmente" dicono la luce
in una fusione inscindibile di linguaggio figurato e descrittivo.
La stessa contrapposizione luce/oscurità, luce/tenebra,
la separazione (anche nel senso cosmogonico) della luce dall'ombra (post tenebra
lux) fa parte dei luoghi comuni del parlare attraverso cui la luce viene espressa,
in qualsiasi lingua, fa parte del "parlare comune", è presente
in tutti i rituali di iniziazione e nelle metafore della rinascita e rigenerazione,
come della conoscenza e della elevazione spirituale.
La luce viene raffigurata, anche verbalmente, come irraggiamento
a partire da un punto, come estensione che da quel punto primordiale si genera,
anche in senso letterale, è collegata all'idea di un ordinamento del
caos tramite il suo stesso irradiarsi, geometricamente raffigurabile, come ripartizione,
sezionamento, settorializzazione, dello spazio.
La luce è espressa come splendore, come vibrazione, come
emanazione, irradiamento diretto o come rifrazione, come brillare, sfavillare.
La stessa teoria ondulatoria e quella corpuscolare suggeriscono icone della
luce, modalità rappresentative di questo irrappresentabile.
Luce/calore, Luce/oriente/aurora, Luce/mezzogiorno, Luce/nascita,
Luce/suoi gradi di intensità, Luce/forza creatrice, Luce/vita, Luce/resurrezione,
Luce/epifania, Luce/elevazione sono icone associative prestabilite che rendono
possibile la rappresentazione della luce.
Disegnare la luce in bianco e nero
Perché bianco? In fisica, quella che noi definiamo genericamente
luce è chiamata "luce bianca", intesa come luce "pura".
Il di-segno della luce può dunque assumere come criterio di somiglianza
con la luce, per esserne l'icona, questo suo interpretante verbale. La luce
bianca è una luce "omogenea", scomponibile, per mezzo di un
prisma, in un numero indefinito di fonti di luce colorate (convenzionalmente
sette) tra le quali la luce rossa e la luce blu sono le fonti più forti
(teoria dei colori di Newton).
Un altro esperimento interessante è il noto disco di Goethe.
Formato da colori primari indipendenti, distribuiti a spicchio e quando lo si
fa ruotare, la mescolanza di questi colori creano il colore bianco.
Perché nero?
Nella Genesi Dio, prima di creare la luce, creò
anche le tenebre, poi le divise l'una dalle altre creando il giorno e la notte.
Così, anche se opposti, la luce e le tenebre, come il bianco e il nero,
sono in realtà complici di un'unica visione. Dunque se la vera luce è
quella cosiddetta bianca, per disegnarla non si ha bisogno di altro colore che
il nero, suo opposto e, allo stesso tempo, complice.
Un di-segno della luce può esser fatto di questi segni-interpretanti
basilari che, per convenzione, nel linguaggio ordinario, in quello della scienza e dei miti della creazione rappresentano la luce.
Un'icona è sempre "degenerata" (in senso matematico),
come lo è anche il simbolo e l'indice, diceva Peirce a proposito della
sua tipologia dei segni. Questo carattere "degenerato" riguarda, nel
nostro caso, una presenza nell'icona di convenzioni relative non solo e non
tanto all'iconografia della luce, quanto alle convenzione verbale secondo cui
è possibile parlare della luce.
L'icona della luce è un ibrido di convenzioni iconografiche
e verbali.
Si parte sempre da una sorgente di luce che si irradia e illumina
tutto ciò che incontra.
Nel primo disegno con titolo Luce
bianca, colore puro (Tav. 1), la sorgente si spande per linee rette
incontrastate per tutta la tavola. I segni e i decori, più intensi e
più fitti nei pressi della sorgente ne raffigurano l'intensità.
L'indicibilità, a livello scientifico, fra "corpuscolo"
e "onda", si ripresenta nel disegno della luce. La luce si propaga
anche per onde. È per questo che il secondo disegno intitolato proprio
Luce e onde (Tav. 2) presenta dei segni
ondulati o ondosi con la sorgente di luce che si irradia sempre per linee rette
con segni bianchi contrastanti sul fondo nero.
Nel disegno Luce e un ostacolo
(Tav. 3), si tiene presente un ulteriore esperimento fisico, questa volta di
Young, nel quale, se si frappone un ostacolo ad una sorgente di luce si vengono
a creare nuove sorgenti. Un altro interessante elemento accompagna questo disegno:
è un effetto ottico nel quale si spiega come la vista produca dei veri
e propri raggi creando così una nuova sorgente, questa volta opposta
alla luce e che possiede non raggi di luce ma raggi visivi. Questi raggi visivi
si comportano allo stesso modo dei raggi di luce. I raggi visivi non percepiscono
l'oggetto che si frappone (in questo caso la mano) e si proiettano nello sfondo,
mettendolo a fuoco. Così anche la luce non "vede" solo il primo
piano, ma, se riesce a passare, si proietta su altri piani. Al contrario, la
luce non è in grado di "vedere" o di far luce al di là
di un oggetto di superficie opaca se non riesce a far passare i suoi raggi,
così come non potremmo mai sapere con il solo "tatto visivo"
se c'è una persona dietro una casa se non riusciamo a vederla!
Il disegno successivo Luce bianca,
un prisma e lo spettro di colori (Tav. 4), prende in considerazione
l'esperimento già citato di Newton sulla teoria dei colori. Esso fa riferimento
anche alla velocità della luce, velocità notoriamente superiore
a quella del suono; basta vedere un temporale: prima si vede la luce del fulmine
e poi il suono-rumore del tuono. Si dice che la velocità massima della
luce avvenga proprio all'interno di un prisma, nell'esatto momento del passaggio
della luce bianca che viene scomposta e proiettata su una superficie bianca
formando lo spettro (banda di sette colori convenzionali: rosso, arancio, giallo,
verde, blu, indaco e violetto).
Anche il disegno Percorsi di
interferenza tra sorgenti di luce (Tav. 5) è basato su un altro
interessante principio fisico: il principio di interferenza di Young. Il suo
esperimento ha l'intento di spiegare il fenomeno di combinazione e di interazione
tra diverse fonti di luce che con le loro onde tendono a annullarsi o a sommarsi
reciprocamente. Così i segni raffigurano diverse fonti di luce, che si
combinano fra loro convivendo, senza prevalere l'una sull'altra, mantenendo
un equilibrio nel totale.
Il sesto disegno, Sole, Luna,
Terra e Sirio (Tav. 6) raffigura una visione planetaria. Il tema di
questo disegno è la discussione sui colori dei pianeti e delle stelle
che circondano la nostra galassia: Manilio nel suo libro Astronomica
descrive Sirio di colore blu; al contrario nel libro Questioni Naturali
di Seneca, Sirio è rubor, cioè rosso; Tolomeo nell'Almagesto
definì Sirio giallastro. Le ragioni possono essere sia di natura culturale
sia di grado e possibilità di conoscenza, ma si può anche ipotizzare
che oltre ad approssimazioni iconiche, cioè per somiglianza, e a convenzioni,
possano essere intervenute in queste "descrizioni" anche motivazioni
di ordine indicale, cioè che nel sistema stellare vi sono state probabilmente
delle evoluzioni.
Nel disegno con il titolo Il
fuoco negli occhi (Tav. 7) si fa riferimento alla narrazione del Timeo
di Platone, una seconda versione della Genesi. La storia narrata da Timeo,
racconta di come un dio affidò ai suoi figli il compito di creare l'umanità.
I primi organi creati furono proprio gli occhi che per poter far luce furono
inseriti con fuoco sufficiente per non bruciare. Il disegno presenta il raggio
visivo (raffigurato come un fuoco) immaginato da Platone, Empedocle e altri,
che come un fascio di luce si combina con la luce ambientale (raffigurata come
un grande occhio) e insieme formano una sostanza che si proietta finché
non incontra una superficie e ne individua il chrôma, colore e struttura,
e la riporta all'osservatore.
Nel disegno ottavo, intitolato Luci
artificiali (Tav. 8), i segni circolari e concentrici si accavallano
l'un l'altro e partono da diverse sorgenti ricoprendo l'intero cielo nero. Nel
mare, anch'esso nero, si riflettono le stesse luci, questa volta spezzate (fenomeno
della rifrazione).
Nel Raggio di luce su una superficie
(Tav. 9) si cerca di immaginare un singolo raggio di luce che incontra una superficie
opaca, illuminandola nella zona colpita. Il segno violento in linea retta del
raggio di luce che impatta sulla superficie sta a significare la forza e la
velocità con la quale penetra la luce.
L'ultimo disegno, E luce fu (Genesi)
(Tav. 10), richiama il momento della creazione della luce che tolse, in parte,
le tenebre dalla terra che la ricoprivano creando il giorno e la notte e così
pure il primo giorno.
Complessivamente le icone della luce, e questi disegni lo attestano,
sono fatte della luce vista, della luce parlata e della luce raffigurata, con
la commistione di iconicità, convenzionalità e indicalità.
La somiglianza che esse possono avere con la luce è dunque "pretesa".
Ma, sul piano artistico, la loro pretesa è soprattutto quella che l'immagine
possa valere per sé, come dice Peirce dell'icona, che possa avere con
la luce un rapporto di somiglianza nel senso dell'orienza e della primità,
che possa avere significato e valore di segno indipendentemente da ciò
a cui dovrebbe somigliare, senza riferimento a nient'altro che a se stessa.
È la pretesa di ogni immagine artistica, tanto più nel caso in
cui si disegni la luce. In questa pretesa di primità sta la maggiore
possibilità di somiglianza con la luce, sia che la si consideri scientificamente
come energia originaria dell'universo e assoluta unità di misura della
velocità, sia che la si consideri miticamente come il primum della creazione.